Wednesday, January 23, 2008

Dibattito con il papa (ovvero: se solo avessi potuto porgli domande)

Sfumato il roboante suono delle polemiche seguite alla mancata visita del papa all'università di Roma "La Sapienza", provo a ricomporre le fila e ad avere un atteggiamento costruttivo. Il mio pensiero è chiaro: si sarebbe dovuto chiedere (invece dell'annullamento) di ottenere un dibattito dialettico col papa, come soluzione alle perplessità di chi temeva che la visita assumesse il significato di una tappa pastorale dai connotati proselitistici, seppur ben adornati di preziose appendici teologiche. In effetti il papa, la cui presenza è stata difesa come quella di un "fine teologo", ha egli stesso precisato (è nel suo discorso) che avrebbe parlato da Vescovo di Roma e da papa, ed ha reso esplicito il suo auspicio fideistico di trovare il suo Gesù (nella sua propria personale percezione e accezione, ovviamente).

Purtroppo il discorso è stato letto ma non pronunciato dal papa in persona, cosa di cui mi dispiaccio, come ancor più mi dispiaccio del fatto che non ci sia stato quell'auspicato scambio dialettico e critico che è l'humus di quella cultura che non dovrebbe mai "autocostruirsi in base al cerchio delle proprie argomentazioni" (parole del papa). Ci provo io, immaginando che avrei potuto porre le mie domande al papa. Una in particolare mi preme; che egli mi spieghi cosa voleva dire quando affermava che:

"Nei tempi moderni si sono dischiuse nuove dimensioni del sapere [...]: innanzitutto nelle scienze naturali, che si sono sviluppate sulla base della connessione di sperimentazione e di presupposta razionalità della materia;"

Chiederei al pontefice conto di cosa intendesse con quel "presupposta razionalità della materia" come mattone fondante delle scienze naturali. Qualunque scienziato che ritenesse che la materia è "razionale", beh, molti penserebbo che ha qualche problema di fondo. Razionalità presuppone il possesso della ragione, capacità (talvolta intesa come autocosciente) di intelleggire, oltre a percepire, l'ambiente circostante e interagire con esso in base al prodotto di una precisa elaborazione astratta. La materia è inanimata, ed è quindi di norma priva di razionalità (se non è grigia). Presupporre la razionalità della materia equivarrebbe, tanto per fare un esempio, a ritenere che si possa discutere con (che so) una roccia riguardo a Kant. La materia non è razionale e credo che veramente pochi sosterrebbero questa ipotesi (sulla quale la scienza, è ovvio, proprio non si basa, sennò addio sapere). Dubito anche che il papa ritenga che lo sia, e quindi sono costretto a cercare di interpretare o tirare a indovinare cosa egli volesse dire.

La prima idea che ho avuto è stata che forse intendeva dire non tanto "presupposta razionalità della materia" quanto "riconosciuta intelliggibilità matematica della materia". Sinora non vi è esempio noto che contraddica questa propreità della materia, se siamo disposti ad accettarne la validità anche in un contesto probabilistico e non solo deterministico. Ma anche questo non è un vero e proprio postualto della scienza nella sua accezione più generale, forse ha più a che fare con la fisica. La scienza può porsi a volte domande più semplici di quelle che prevedano una quantificazione matematica. Per esempio può dare una risposta alla domanda: accadrà questo fenomeno? Il rispondere sì o no non è tanto una quantificazione matematica, semmai è una sul valore di verità di una affermazione (nell'ambito della logica formale). La scienza può anche ipotizzare l'esistenza di oggetti, descrivibili tramite alcune caratteristiche anche qualitative e non solo matematiche. Le specie di transizione per esempio.

Quindi neanche qui ci siamo. Ma io sospetto fortemente che il papa volesse dire un'altra cosa che nasconde il vero motivo per cui i fisici temono per l'idea di scienza che la chiesa vuole proporre. La butto lì, ci provo: il papa (ipotizzo) ritiene che gli scienziati postulino arbitrariamente il non intervenire divino, e quindi non intelleggibile dall'Uomo, nei processi naturali, come potrebbe essere (la sparo a caso...) una mutazione nel bagaglio genetico di un essere vivente.

Rispondo.

Devo sfatare un mito. Provo io a dare una definizione semplice di scienza. La scienza è quella branca del sapere dell'Uomo nella quale si fanno affermazioni che hanno una caratteristica tutta particolare: possono essere smentite. Nel dibattito scientifico è possibile convenire, tra scienziati e con un altissimo livello di confidenza, se una certa affermazione sulla realtà è errata. Le teorie, cioè, sono passibili di (alla Popper) "falsificazione". Sono formulazioni, o premesse di formulazioni future (il caso della teoria delle stringhe), che contengono in nuce il proprio stesso contraddittorio. Se io affermo che "un sasso per la forza di gravità impiegherà tot tempo a cadere" consento a chiunque di contraddirmi con una dimostrazione pratica. L'affermazione ha una qualità diversa dalla filosofia: per esempio l'affermazione che "il sasso nel cadere produce solo una trasformazione nello stato di idea di sasso"; una affermazione che può essere discussa, ma che non c'è modo di contraddire con certezza facendo cadere il sasso più e più volte. Oppure diversa dalle affermazioni della teologia: il sasso nel cadere rende felice Dio. Altra affermazione che nessuno sarebbe in grado di verificare, e per questo non fa parte della scienza.

Quindi questa è la differenza tra scienza e fede. Nella fede non è usuale che si facciano affermazioni che, qualora contraddette da un fatto osservabile, consentano di abbandonare la teoria dell'esistenza di Dio, o di quel particolare Dio. Se si crede in Dio e si prega, non si accetta (quasi mai) l'idea che se la preghiera non venga soddisfatta allora si deve dedurre che Dio non esiste. Si accetta solo l'idea che se alla preghiera è stata data risposta allora l'idea di Dio diventi più certa. Per questo, per molti credenti, la convinzione dell'esistenza di Dio non può far altro che crescere nel tempo. Non si formalizzano affermazioni tali che, se osserviamo un accadimento, dobbiamo trarre conclusioni sull'esistenza di Dio oppure semplicemente sul volere di Dio.

In questo senso non tanto fede e ragione, quando fede e scienza sono due sfere antitetiche nello scibile umano. In alcuni scienziati esse convivono, forse proprio in virtù di questa distinzione. Il punto è che però la scienza non è che escluda Dio come posizione filosofica: non può includerlo per il semplice motivo che se lo facesse dovrebbe cambiare, come attività umana, nei connotati specifici perché dovrebbe accogliere in sé affermazioni che non producono conseguenze riguardo ai fenomeni osservati, che sono gli unici di cui si occupi la scienza.

Paolo De Gregorio (l'originale, classe 1974)

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Friday, January 18, 2008

Il papa, La Sapienza. Breve storia di un cortocircuito

Questo post proprio non volevo scriverlo, qualunque cosa si dica si sbaglia. Ne ho discusso tanto con amici però, di questa faccenda. Provo in sintesi, tanto nella vana speranza di aiutare e ricomporre il puzzle e gli umori.

Premessa: sono uno di quelli lì, conformista che considera sempre e comunque una sconfitta se la soluzione ad una controversia risulta essere che qualcuno debba rinunciare a parlare quando s'era stabilito che parlasse. A meno, ovviamente, che si tratti di casi eccezionali, tipo il marcare la fine di una dittatura, o di una guerra.
Dato che la penso così, pur essendo tra quelli cui sta cosa del papa alla cerimonia solenne proprio non tornava, non trovo che ci sia stato in questi ultimi giorni in Italia alcun motivo per festeggiare, come alcuni hanno creduto. L'aggravante è stata che chi in origine aveva anche i suoi boni motivi per protestare è uscito sconfitto agli occhi di tutti, ma soprattutto propri: perché il messaggio che voleva comunicare è stato soffocato, e questa è la sconfitta delle sconfitte per chi vuole convincere altri delle proprie ragioni.


Detto ciò, ritengo in sintesi:


1) Che le scelta del rettore in una circostanza così particolare come l'apertura dell'anno accademico, un sorta di dichiarazione di porgramma ed indirizzo della università per TUTTO ciò che essa rappresenta, è quantomeno controversa. Ma non per la storia di Galielo, Galileo non c'entra nulla. Il problema è come non farla figurare come un'investitura. Il rettore e il senato accademico hanno 364 giorni l'anno (pure uno in più quest'anno) per invitare il papa ad un dibattito aperto, in un vero confronto dialettico e non "ex catedra". La scelta così operata si tinge anche di colori più cupi visti i tempi che corrono, di rapporti così tesi tra gli intellettuali più liberali e laici e il papato di Roma.

2) Che i 67 docenti hanno percpeito un disagio simile, forse ancora più marcato, e quasi due mesi fa, quando ancora nulla era definitivo e irrevocabile, hanno presentato in privato al proprio rettore (che per essi delibera) una richiesta legittima (semmai atipica) in quanto parte del corpo docente, anche qualora non condivisibile nei termini e contenuti. Non una richiesta di "cacciare" nessuno dato che nulla era ancora certo, ma di recedere.

3) Che pochi studenti, invece, all'indomani dell'incontro hanno minacciato azioni di disturbo e affermato che il papa all'università non ci deve venire, in qualunque tempo. Richiesta dalla sostanza discutibile, protesta dalla forma arrogante e puerile. Come l'urlare "blablabla" da piccoli tappandosi le orecchie. S'è parlato persino di musica a tutto volume durante la lettura del discorso, non so se sia vero. Almeno le canzoni un testo ce l'avevano? Per sapere se almeno un messaggio questi ragazzi ce l'avevano.

4) Che la tensione è salita, soprattutto per la posizione degli studenti. Qualcuno a tre giorni dall'evento allora ha tirato fuori la lettera dei prof di due mesi prima. I notiziari hanno vergognosamente dato ad intendere che a tre giorni dall'incontro 67 prof di fisica hanno chiesto che il papa non venisse. Il papa ha "rinunciato", in realtà quasi certamente a causa delle proteste degli studenti e non della lettera dei prof, a lui già nota da tempo. La gogna mediatica però ha crocifisso i prof per averlo "cacciato" (si veda al punto 2 come erano in realtà andate le cose).

5) Che dopo questo infelice epilogo, che comunque io trovo deprimente, s'è scatenata una compatta caccia alle streghe dell'intero gotha dell'informazione italiana, compresa quella tradizionalmente più prudente, e devo aggiungere: dandomi l'impressione di reagire in maniera abbastanza emotiva e scomposta, visto che (senza voler minimizzare) il nostro paese ha visto persino presidenti della repubblica azzittati in malomodo, trovando spesso e comunque qualche penna giustificazionista, sempre. Capisco difendere il papa: sarà giusto, se ormai doveva parlare era giusto che parlasse. Ma insomma, per le nostre istituzioni più alte non ho mai visto la stessa compattezza e solidarietà, lo stesso sdegno. Un paese, insomma, che tiene a difendere il papa più di se stesso. Nessuno poi, prima delle 48 ore successive, ha cominciato a fare un'esame di coscienza su come era stato trattato quel dissenso interno e presa di distanza iniziali legittimi, anche qualora sbagliati, dei prof incriminati. Come se libertà volesse dire che il papa deve essere libero di parlare quando invitato, ma che ai prof è assolutissimamente vietato dissentire dall'invitarlo. E allora che libertà è scusate? Chi è che decide chi deve parlare?

Ecco, tutto qua, credo che non si possa arrivare ai punti 4 e 5 senza passare prima per tutti i punti dall'1. E anche per tutto quello che ha preceduto il punto 1 in questi ultimi anni. Questo cortocircuito di questi giorni è stata la più lampante prova di come sia irrisolto il problema dei rapporti tra il nostro paese e il papato. Un rapporto che ora è quantomai conflittuale e che sarebbe da persone infantili voler ascrivere per intero a quei 67 prof immolati a capro espiatorio, senza comprendere gli errori della nostra politica e delle nostre istituzioni di cultura nei loro rapporti col papato, e di quest'ultimo verso di esse. Una cosa che spero ancora vivamente gli stessi cattolici comprendano che danneggia anche loro stessi e che li convinca a cambiare rotta.