Monday, September 9, 2013

Thursday, August 15, 2013

La prova regina

A pensarci bene, l'argomentazione vuol farsi apparire articolata ma si può grossomodo sintetizzare così: un nugolo di giudici in Italia sarebbe reo di non considerare, o di non aver considerato, durante il giudizio, otto milioni di voti come elemento oggettivo di prova a discarico di un tal imputato. Indi per cui, all'apice della carriera e della fama, e avesse malauguratamente voluto, Roberto Baggio avrebbe potuto tranquillamente delinquere a destra e a manca senza dover essere considerato reo di alcunché.

Di recente ho assistito ad una difesa d'ufficio e di principio implicitamente di simil tenore da parte della Gelmini, che è poi scivolata in un altro svarione logico. All'argomentazione un giornalista aveva appena opposto altresì l'esempio di Vito Ciancimino, per osservare come l'aver ricevuto, e a più riprese, moltissimi voti elettorali non ha di norma alcun peso durante la valutazione di gravi reati da lui commessi né è garanzia d'innocenza. Ella ha replicato che non era tollerabile paragonare Berlusconi a Ciancimino. Non so di preciso cosa valutino durante i concorsi pubblici in Calabria, ma non era quello il paragone. Ma Roberto Baggio andrà sicuramente meglio (*).

(*): il calciatore in questione mi perdonerà sicuramente perché comprenderà benissimo, al contrario dell'eccellente, che né lo stavamo paragonando a Berlusconi né imputandogli malefatte. Firmato: con simpatia e stima.

Tuesday, June 18, 2013

Cartina al tornasole

Una senatrice del Movimento (al secolo Gambaro) aveva addebitato l'insuccesso elettorale nelle ultime elezioni amministrative ad alcuni comportamenti del suo capo. I parlamentari suoi collegi ieri si sono chiusi in gran segreto per quattro ore per votare sulla sua espulsione, ma tanto avrebbero potuto fare anche sulla rete di distribuzione idrica tedesca, visto che "l'ultima parola spetta alla rete": cioè quel voto non si sa come sia maturato, non si sa come la donna si sia difesa, e il voto è comunque totalmente inutile e privo di conseguenze. Un sondaggio, nella sostanza, questo è l'appellativo giusto.

Ovviamente il voto in rete presenta ora un bel dilemma logico: se voti a favore della senatrice sei contro il capo del Movimento, ma se sei contro il capo sei anche fuori dal Movimento, e quindi non dovresti avere diritto di voto in rete, e quindi il tuo voto non dovrebbe essere valido.

Detta così suona inutilmente sarcastica o ingenerosa? Direi di no, perché il capo è colui che sempre e solo decide chi ha diritto di voto "in rete". Tanto che, pochi giorni or sono, era arrivato addirittura, molto temerariamente, a proporre un sondaggio su sé stesso.

In conclusione. Quello che penso da mesi è che se uno volesse avere la prova definitiva della disfatta della politica italiana, reduce da vent'anni di gestione irresponsabile e truffaldina, può trovarla nel suo prodotto finale, nel suo punto di approdo ed epilogo, che in linea assolutamente teorica avrebbe dovuto rappresentare l'elemento di rottura, la rivoluzione dal basso, la risalita fiera dagli inferi: il Movimento 5 Stelle, cartina al tornasole di un popolo incapace di uscire dalla vignetta che si è disegnato intorno.

Sunday, May 5, 2013

Se l'elettore non premia il merito

Le recenti vicende intorno al Partito Democratico hanno avuto l'effetto di stimolarmi una riflessione, che in verità mi aveva già investito in passato, nella forma di classico adagio: "siamo governati da chi ci meritiamo". A ben vedere è molto più frequente che ci si scrolli di dosso questa ipotetica infamia e si preferisca relegare l'autocritica nello scantinato delle virtù dei timidi. Questo è anche uno dei motori che muovono il successo elettorale del Movimento Cinque Stelle: otto milioni di elettori che difficilmente ammetteranno di aver sbagliato nelle precedenti votazioni e si scagliano col fiero piglio dell'illibato contro il mostro violentatore della Seconda Repubblica. La stessa cosa accadde in verità durante il tramonto della Prima Repubblica, dacché si preferì convincersi di aver valutato sempre nel giusto, che i segnali di quel che stava per accadere fossero stati inesistenti o invisibili qualche anno, mese o settimana prima e che la colpa non poteva che essere nei mutanti della politica, che da degni della fiducia del popolo i giorni dei suffragi si trasformarono inspiegabilmente ed imprevedibilmente in irresponsabili ladri e sfruttatori. Ebbene, credo che in questa fase sia io stesso a dover rivalutare in modo estremamente critico i miei gravi e ripetuti errori del passato, prendermi il mio peso di responsabilità per aver creduto che un partito, sì pieno di difetti e a tratti imbarazzante, avesse in qualche modo chiaro il cancro che ha afflitto questo nostro paese per vent'anni, evidente la malsana e inestricabile sequela di catene, vincoli, azioni, conseguenze che imbrigliavano in una melma pesante ogni vago e timido alito verso una crescita definitivamente matura, compiutamente europea e definitivamente liberal dell'Italia: lo avesse chiaro ma non fosse in grado, o non avesse forza e autorevolezza per scrollarselo di dosso. Mi sbagliavo: quei personaggi non devono affatto averlo chiaro, mai averlo avuto chiaro, non lo hanno mai capito e hanno sempre e solo recitato una parte, probabilmente perché portava voti.

Ecco, io ho sbagliato e non altri, ma a questo punto devo necessariamente tornare alla riflessione iniziale: come possiamo prevenire i nostri errori? Ebbene, sì, possiamo prevenirli, se lo vogliamo. Se lo avessimo voluto, li avremmo prevenuti. Ma non siamo nemmeno capaci: male allenati ad usare gli strumenti che abbiamo a disposizione, li rigettiamo ed è per questo, non altro, non per colpa della "casta", che siamo ridotti come siamo.
Illustro dunque cosa mi ha stimolato la riflessione e quale questa sia stata: ho notato quanto molte persone di mia conoscenza di quella città, assolutamente sdegnati, inorriditi oppure delusi - a seconda - delle più recenti mosse del PD stiano molto attivamente sostenendo la candidatura di Ignazio Marino a sindaco di Roma (pur permanendo in generale nel loro segno, disgusto, orrore, delusione). Mi è tornato alla mente un breve dialogo di pochi anni fa, quando a correre per la segreteria del PD si ritrovarono Bersani, Franceschini e lo stesso Marino. Personalmente non stavo accingendomi a votare, ma espressi ad un mio amico che stava per farlo la mia convinzione che Marino sarebbe stata la scelta senza ombra di dubbio migliore, sia per i contenuti che per un certo potenziale di immagine. Mi sentii rispondere: "sì, sicuramente non c'è dubbio, Marino è di gran lunga il migliore, ma certamente non vincerebbe e quindi voterò X". Ecco, io mi chiedo se non sia stata la maggioranza a votare con questo retropensiero e come le cose oggi sarebbero diverse da come lo sono se la base del PD non avesse (più e più volte) scelto di non scegliere. Lo stesso partito oggi tanto bistrattato mette tutti noi di fronte alla responsabilità della scelta, ma noi ci rifiutiamo in qualche modo di attuarla fino in fondo.

In una certa misura credo che sia anche questo il più grande limite della democrazia: il non rendersi conto di chi ne usufruisce, spesso, di poter scegliere, lasciandosi invece convincersi di dover scegliere.

Tuesday, April 23, 2013

Ti conosco mascherina, e per questo mi piaci

È francamente penoso immaginare la quasi totalità dei partiti della Seconda Repubblica recarsi dal Presidente della Repubblica uscente con i panni intimi sporchi, chiedendo di essere aiutati nel cambio perché incapaci di portare a termine da soli la più esemplare delle operazioni democratiche di un parlamento. Immagine ridicola da parte di dirigenti ed esponenti tanto pomposi e spavaldi davanti alle telecamere o sui manifesti elettorali quanto insicuri e spauriti davanti alla banalità di quattro o cinque scrutini andati in bianco. Ritengo che Napolitano bene avrebbe fatto a rifiutarsi, ricordando loro di stare lì perché sono stati votati.

Non credo che si ricordino molti stillicidi politici simili a quello che si è consumato con la seconda elezione di Giorgio Napolitano. Depositata la sabbia alzata dalla forte tempesta, che da simpatizzante di sinistra ha rappresentato, forse in assoluto, il momento più basso del rapporto tra sentire e partito propri, mi viene adesso quasi da guardare alle tribolazioni del PD come allo smottamento sovrastante ad una faglia tra due placche: la Seconda Repubblica da un lato, dall'altro un paese ormai insofferente e collerico verso una classe dirigente politica che si arrocca nel momento stesso in cui si dichiara fallita. Il PD era il punto posto al confine tra queste due masse che premevano l'una contro l'altra, e si è spaccato. Al di là della faglia, partiti come PDL, i centristi, persino la Lega hanno sostenuto, senza tentennamenti di sorta, prima Franco Marini e poi Giorgio Napolitano, rappresentanti quantomai emblematici della sinistra della Prima e Seconda Repubblica, fatto che di per sé sarebbe considerato sconcertante e persino sospetto in un paese normale, digerito chi lo sa come dall'elettorato, ma passato per pacifico e naturale da quasi tutta la nostra stampa. Purtroppo il PD, dopo essersi spaccato, è ricaduto dal lato sbagliato, almeno secondo la maggior parte del proprio elettorato (è facilmente intuibile).

Personalmente, al di là di ogni previsione è stata la delusione per l'allora segretario Bersani. Ritenuto da me, come penso da molti, forse sì carente in quanto a carisma e risolutezza, troppo spesso tentennante, ma uomo affidabile e onesto. Virtù che non si sono proprio viste emergere esemplarmente in quest'occasione. Ci fosse stato detto perché fosse stato necessario votare Franco Marini, forse avremmo capito, avremmo dissentito ma avremmo capito; e forse avrebbero capito i parlamentari chiamati ad esprimersi. Quello che sapevamo, al contrario, era che egli stesso ci aveva più volte istruito, dicendoci che l'elezione del presidente doveva restare fuori dalla contingenza della situazione politica e dai piani di governo. "Ti conosco mascherina" ci aveva assicurati avrebbe detto a Berlusconi.

Dall'altro lato c'erano tre o quattro nomi possibili, una rosa presentata in modo non convenzionale dal Movimento 5 Stelle: Rodotà, Zagrebelsky, Imposimato. E poi forse altri. Ritengo infatti che il PD avrebbe potuto almeno tentare una convergenza sui primi della lista e far sentire il peso della scelta (e dei tweet, e delle e-mail, e dei post, ecc...) degli elettori agli eletti del Movimento invece che ai propri, spostando la proposta da Rodotà a qualcuno degli altri, se proprio il problema insormontabile era ritenuto essere l'impossibilità di convergere su una proposta unica e secca. Certo, sarebbero stati necessari quattro o cinque scrutini in più per sondare la fattibilità della manovra. Se non lo si è fatto ritengo che possa essere per due motivi: una fretta dovuta a motivi che non ci verranno mai spiegati, e in quanto mai spiegati, probabilmente inconfessabili. Oppure la convinzione dei dirigenti PD che nessuno di quei nomi, nomi di quei personaggi irreprensibili, cultori dei diritti e altissimamente qualificati, fossero adatti alla carica. Non so quale delle due ipotesi sia più preoccupante.

Il picco massimo di delusione, a mio avviso, Bersani me lo ha inferto con la sua dichiarazione conseguente alla mancata compattezza del voto PD su Prodi. Ha parlato di "traditori". Con ogni probabilità "traditori" alquanto meschini, in effetti, perché capaci di votare Rodotà al solo ed unico scopo di confondere le acque (seguendo l'andamento delle votazioni si evince che una cinquantina di parlamentari hanno votato Rodotà solo ed esclusivamente alla quarta votazione, quella in cui Prodi ha avuto la maggioranza relativa. Non potendo essere di Sel, nonostante un penoso tentativo di farlo credere, e nemmeno tra quelli del PD che lo hanno scelto in altre votazioni, non possono che essere "agitatori" delle acque). Non è chiaro quanto Bersani si riferisse anche al giorno prima, parlando di traditori: io ritengo di sì. Fatto sta che se i padri costituenti prevedettero la votazione a scrutinio segreto è esattamente perché ritennero che il voto del presidente della Repubblica non potesse che essere totalmente libero. Anche, chiaramente, libero da vincoli di partito oltreché da vincoli elettorali. Paradossale che Bersani volesse vincolare all'indicazione del partito il voto quando ha di fatto reclamato con forza la mancanza di vincolo elettorale per le proprie decisioni.

Sunday, April 21, 2013

Re Giorgio II

Insomma, non ti viene fuori che quando sollevò il conflitto d'attribuzione con la Procura di Palermo, Napolitano stesse difendendo le proprie prerogative in quanto successore? «RILEVATO che "E' dovere del Presidente della Repubblica di evitare si pongano, nel suo silenzio o nella inammissibile sua ignoranza dell'occorso, precedenti, grazie ai quali accada o sembri accadere che egli non trasmetta al suo successore immuni da qualsiasi incrinatura le facoltà che la Costituzione gli attribuisce" (Luigi Einaudi)»
(cit. dal Ricorso presentato da Giorgio Napolitano I per conflitto di attribuzione di potere, avverso Procura di Palermo, presso la Corte Costituzionale in data 16 luglio 2012)

Tuesday, April 16, 2013

Un'opinione di Renzi che vale milioni di opinioni?

Da dettagli si deduce anche la cifra dello scadere della dialettica politica italiana; si deduce anche da chi questo sbiadirsi sta facendo emergere; si deduce dal modo in cui talune dichiarazioni passano del tutto inosservate. L'esempio ci viene da uno che molti prevederebbero sarebbe in grado, ce ne fosse oggi occasione, di raccogliere più consensi di qualunque altro candidato politico(*):

Ma Matteo Renzi tiene la posizione e a seguire dichiara: "Personalmente mi sembra ingiusto essere attaccato così solo per aver detto quello che penso io e che pensano milioni di italiani"
(preso da Repubblica.it)

Ingiusto per essere attaccato per un'opinione? Non dipenderà, che so, in una minima ed esigua parte da quale sia questa opinione? La seconda parte non turba di meno. Si sta esprimendo un'opinione, giusto? E in quale modo il fatto che così la pensino "milioni di italiani" si ritiene che dia sostegno ad essa? "Milioni di italiani" hanno dato sostegno in passato - facciamo il passato non recentissimo tanto per non offendere nessuno - ad opinioni ben poco corrette o condivisibili. Palesemente, non è un argomento se non è sostanziato da altri ragionamenti, se non nella misura in cui la politica diventa ruffianeria verso il popolo, o peggio verso una sua vaga porzione estratta a caso da un'urna.

(*) Nota: sto cominciando a dubitare fortemente che questa affermazione rimarrà ancorata nel reale, dal momento in cui il sindaco di Firenze sembra in questi giorni che dia un po' troppo per scontato il sostegno incondizionato dell'apparato di un intero partito e di un elettorato storico, che forse hanno una concezione un po' meno estemporanea di quel che vuol dire fare politica. Detto diversamente, sembra non rendersi conto di cosa e perché il PD abbia circa il 25% di consensi nonostante il naufragio dei partiti tradizionali e perciò pretenda di poterlo conservare stravolgendolo (disintegrandolo?). Una teoria un po' avventurosa, lo segnalo ai suoi vari spin doctor.

Thursday, April 11, 2013

Magistrati, non candidatevi mai in Toscana

Non voglio esprimere un giudizio di merito sulla candidatura politica recente del magistrato Ingroia, conclusasi senza l'elezione; se non annotare previamente due cose: che non è il primo magistrato né sarà l'ultimo a tentare l'intrapresa politica, e che nella sostanza non vi è alcuna legge che regoli eventuali incompatibilità in ingresso e in uscita, nonostante più d'uno converrebbe che non sarebbe illiberale prevedere incompatibilità con alcuni particolari incarichi. Vi sono magistrati, anzi, fuori ruolo o "in aspettativa", che sono considerati eminentissimi parlamentari oltre a valenti magistrati, come ne sono esempi Carofiglio o Casson, i quali, per legge almeno, non subirebbero (o avrebbero subito, parlando al passato) alcuna precostituita incompatibilità "territoriale" o "funzionale" al loro rientro (ipotetico ed eventuale) in ruolo in magistratura. Non "candidati" parlamentari, ma eletti a tutti gli effetti.

Si è parlato della recente delibera del Consiglio Superiore della Magistratura che a mio avviso pone una curiosa questione, che nessuno sembra evidenziare: cosa avrebbe fatto il CSM se Ingroia si fosse presentato in tutte le circoscrizioni elettorali, compresa la Val d'Aosta? Non ci è dato intuirlo. Non lo avrebbero certamente potuto ostracizzare, visto che nessuna legge lo consente: quindi dobbiamo dedurre che un qualche incarico glielo avrebbe trovato, nonostante qualunque esso fosse stato, sarebbe stato in una sua circoscrizione elettorale. In altre parole il CSM, insistendo sulla necessità da parte di Ingroia di accettare come unico incarico possibile quello nella regione Val d'Aosta da un lato sembra voler rimediare ad un vuoto legislativo, dall'altro sembra che lo faccia con un espediente privo di qualunque oggettività, inefficace e contingente, forse addirittura compiacente e di facciata, che è reso efficace solo da una fortuita circostanza e che certamente non potrà mai essere assurto a criterio generale.

Di qui il mio caldo consiglio ai prossimi aspiranti Casson o Carofigli in giro per le aule giudiziarie: doveste voler fare politica, chiedete di essere candidati in tutte le circoscrizioni, oppure non fatevi candidare dove vi piacerebbe un domani svolgere la professione. Per esempio, vi piace la Toscana? Tenete famiglia in Toscana? Chiedete che non vi si candidi in Toscana. Il CSM, poi, vi manderà lì.

Sia chiaro, non voglio in alcun modo qui esprimere un giudizio negativo né sui magistrati citati, che ritengo persone capaci, né rinnego che il CSM a buon diritto valuti quali incarichi siano appropriati in base ad un'esperienza politica (ancorché mi sembra una leggera forzatura considerare una candidatura una esperienza politica a tutti gli effetti); questo anche per un dovere di pacifica "convivenza" con il potere legislativo, un gesto di cortesia istituzionale, diciamo. Sembra, però, nella miglior tradizione italiana recente, il più classico dei criteri ad personam, cioè un criterio (o norma non scritta) la cui efficacia è del tutto funzionale al caso particolare in esame.

Thursday, January 31, 2013

Risparmiatore o evasore: un calcolo statistico? Parte II

Seguendo la premessa e la prima parte di questa discussione, passiamo ora al caso concreto di quanto è uscito in Gazzetta Ufficiale in Italia. Ci discostiamo dal caso astratto illustrato precedentemente poiché, da un lato, una parte del reddito non viene impiegata in consumi "vivi", ma finanzia anche il risparmio, le commodities, le spese immobiliari, i mutui, i debiti e via discorrendo; dall'altro, esiste una quota di reddito non dichiarato da alcuni.

Dividiamo le uscite di un contribuente in spese di categoria A, quelle di cui l'Agenzia delle entrare non ha tendenzialmente contezza, come le spese in contanti, al mercato o al supermercato, detersivi, pasta, nei negozi, scarpe, cappotti, al ristorante, per manutenzione automobile, sui mezzi pubblici, per fare alcuni esempi, e nella categoria B poniamo quelle monitorate (o meglio, monitorabili, almeno a campione) dalla stessa Agenzia, come mutui, contratti di locazione registrati, compravendite immobiliari, bolli auto, canoni, utenze domestiche, singoli acquisti >€1000. In realtà esistono anche spese di categoria ibrida, o mista, chiamiamola C, di cui l'Agenzia potrebbe essere in grado di ricostruire una porzione ma non necessariamente l'entità totale, ad esempio il caso delle spese mediche. Infine, alcune spese rientrerebbero nella categoria B, se non fosse che vengono dolosamente nascoste al fisco, come spese di affitto senza contratti registrati. Ci soffermeremo poco su quest'ultima categoria, concentrandoci su quelle di tipo A, B o C per necessità  di semplificazione.(*)

Per ogni tipologia di contribuente X, per esempio single o famiglia con Y numero di figli, e appartenenza geografica, Nord-Ovest, Nord-Est, etc, l'ISTAT stila una media nazionale di tutte le spese di tipo A e C. A questo punto, l'Agenzia stabilisce di fatto che le cosiddette spese presunte sostenute da X tra le voci delle categorie A e C siano, al minimo, quelle della media nazionale della tipologia di appartenenza contributiva. Salvo solo, eventualmente, accrescerne il valore ogni qualvolta, e solo, avrà notizia che le spese sono state superiori. Per chiarire con un esempio semplice: se X avrà speso in ticket medici o farmaci detraibili € 100, ma la media nazionale è €200, allora si presumerà che egli avrà speso €200. Nel caso però che all'Agenzia risultino spese per €300, allora farà fede €300 e non €200: cioè sempre, e comunque, il maggiore dei due. Per informatica, mettiamo, se la media nazionale è €100, allora anche se non si è nemmeno posseduto un modem si presumerà che avremo speso €100, mentre se avremo acquistato un computer di €500 con fattura registrata o con carta, saranno "iscritti a registro" questi €500.

Qui si svela il primo meccanismo perverso. Si dice che si può dimostrare l'origine delle nostre spese per tramutare un'incoerenza in coerenza, Ma se già il calcolo può presumere spese che non abbiamo mai sostenuto, finanche quando (caso delle spese mediche) all'Agenzia delle entrate dovesse risultare che esse sono state inferiori, come farebbe un cittadino a dimostrare attivamente di non averle effettuate? E se questa linea di difesa è già da ora considerata accoglibile, perché mai presumere un dato indimostrato come dato di partenza?
Ma ancora: non è un obbrobrio, in punta di diritto come si dice, sostenere che le spese documentabili facciano testo solo quando superiori alla media nazionale, e non facciano mai testo quando inferiori? Come giustificare questa asimmetria che pone il contribuente in posizione sistematicamente così sfavorevole? Non ha forse carattere vessatorio questo tipo di precetto?

Muoviamo oltre. Stabilite le spese presunte di X per le categoria A e C, che come detto sono sempre maggiori o uguali a quelle della media macro-regionale per tipologia famigliare contributiva, il fisco aggiunge la cifra ottenuta della categoria B e determina il "reddito presunto". Dice cioè: "io so che hai speso tot per B, ti dico io quanto hai speso per A e C, quindi devi aver guadagnato tot più tot". Lo confronta con il reddito di X presente nella dichiarazione dei redditi e se trova una difformità superiore al 20%, allora convoca il cittadino perché ne spieghi l'origine. Con quale facoltà e strumento di prova del contrario, nessuno ha dancora chiarito.

Ripetiamo, se non è chiaro: dopo aver presunto che X ha speso tot per detersivi, tot per olio macchina, riparazioni e carburante, tot al ristorante, tot per spaghetti, tot per pannolini, tot per vacanze al mare, tutto senza averlo mai veramente saputo, e dopo avervi sommato le spese, per dire, di mutuo, il fisco stabilisce che se non gli tornano i conti (20% di discrepanza col reddito dichiarto) chiede a X spiegazioni. Ora, la risposta più intelligente che un homo sapiens sapiens potrebbe concedere è: "avendo il mutuo sul groppone, ho dovuto risparmiare sulla pasta, sui detersivi, sulle cene fuori, eccetera, altrimenti non arrivavo a fine mese". L'auspicio è quello di avere un altro homo sapiens sapiens di fronte.

Domanda: è un sistema questo per stanare gli evasori? Molto probabilmente sì. Ci sono voci della categoria B che l'evasore spesso non può nascondere, e se ha evaso una notevole quota allora avrà anche speso una notevole quota nella categoria B di spesa. L'incongruenza salterà all'occhio. Ma, è un sistema che stata selettivamente gli evasori? No. Li stana tutti? Nemmeno: non stanerà per esempio quelli che evadono solo una quota e che spendono tanto in ristoranti, oggettini, viaggi, vacanze, insomma gli evasori parziali ma poco inclini al risparmio.

Chi stana, in generale? Stana per lo più chi ha basse dichiarazioni dei redditi, almeno al netto delle uscite sostanziali (mutui e affitti, o acquisti di automobile, per esempio). Non seleziona il perché di questa discrasia. Il dato rilevante, qui, è che alla media nazionale dell'ISTAT contribuiscono tutti i cittadini (era il discorso che si faceva nel post precedente), da quelli costretti a risparmiare tanto, agli evasori, ai benestanti, a quelli senza gravami, a quelli con mutui case, eccetera. Ma sarà proprio chi deve "stringere la cinghia", perché magari ha un grosso mutuo, o in quell'anno ha acquistato la macchina, che si troverà nella fascia bassa tra coloro che spendono. Ma se al momento di calcolare il reddito gli si dice, direi gli si "intima senza prove", che ha ugualmente speso come chi non ha dovuto affrontare le stesse spese, allora non ci vuole un genio per capire che le cifre non torneranno. Sì, l'evasore avrà speso come la media e di più, ma la speranza (di averne acciuffato uno) non si trasforma in fatto (se abbiamo invece davanti un risparmiatore squattrinato): è vero che il reddito presunto è una stima valida, forse anche al ribasso, se applicata ad un evasore, ma quando non si sa se si ha davanti un evasore il dato in sé non lo determina di certo.
In poche parole, fermo restando il principio che è più che auspicabile trovare uno strumento efficiente contro l'evasione, si è scettici di fronte ad uno che pare non soddisfare sufficienti premesse di selettività e vada a chiedere conto anche, non si sa bene poi con quali strumenti a propria difesa, il cittadino in difficoltà economica. Che almeno la soglia per la coerenza fosse stata posta al 100% invece che al 20%, a quel punto si sarebbero rimosse la gran parte delle incongruenze legate alla fisiologicità delle variazioni statistiche sulla categoria A/C di spesa.

A me, così, invece sembra come far fare una gara di corsa per stanare i falsi invalidi, e beccare tutti gli ultimi della fila: tra questi ci saranno, di certo, i falsi invalidi che "fanno finta" di andare piano. Come anche gli invalidi, ovviamente. Alla fine della fiera, cosa si è concluso?


Ora mettiamoci nei panni di una famiglia con stipendi modesti, con figli a scuola o piccoli, un importante mutuo. Allora ogni giorno fai economia sul detersivo per casa, compri e fai provvista solo in offerta, scegli il mezzo pubblico al posto della macchina, non ceni praticamente mai fuori casa, fai le vacanze dai cugini, accetti prestiti di tanto in tanto dai nonni. Arrivi a spendere la metà della media nazionale, forse un terzo, con sacrifici e lacrime. E poi arriva la convocazione tributaria chiedendo perché dichiari così poco se spendi così tanto: tanto nel senso che hai un mutuo ma del risparmio quotidiano non è tenuta traccia né conto. Cosa pesate che accadrebbe? Soprattutto, come diavolo farà a difendersi da quest'indagine, la famiglia se non ci sarà modo di dimostrare che per un anno non sono andati al ristorante?

Ecco, in alcuni casi sarà sufficiente dimostrare di aver attinto ad un prcedente risparmio per le spese straordinarie, se sono state queste a generare la difformità, e questo certamente risolverà l'incoerenza putativa e il fascicolo sappiamo che verrà richiuso. Ma quando la disparità rimanesse e dovesse rimanere per effetto della sovrastima delle uscite ordinarie, cosa potrà fare il contribuente per dimostrare, se fosse fattualmente vero, di essere stato molto abile nel risparmiare? Quale elemento oggettivo, mantendendo la giusta funzionalità dell'onere della prova, avrà egli a disposizione dopo che tale prova è stata già assunta in principio del calcolo?

(*) Nota: in realtà in Gazzetta Ufficiale compaiono solo due categorie, e non tre o quattro. Questo perché si evidenzia che non esistono spese di tipo A, ma solo B o C, e quelle da me indicate con tipo A rienterebbero nel tipo C. È però questa una distinzione formale e quasi del tutto priva di conseguenze rispetto al discorso perché, per fare un esempio, è del tutto scolastico sostenere che l'Agenzia delle entrate potrebbe in linea di principio sapere quanti soldi ho speso in un anno per detersivi per piatti o pannolini o birre al bar, senza doverli giocoforza presumere e dedurre dalla statistica. Mi è parso qui più lineare definire C la categoria delle spese "realmente" montiroabili dall'Agenzia, quando eccedenti la media, e non quelle che lo sono solo virtualmente. Questa distinzione aiuta a comprendere meglio il fatto che una grossa fetta del reddito presunto verrà calcolata su stime statstiche, senza alcuna notizia sulle spese reali.

Monday, January 21, 2013

Risparmiatore o evasore: un calcolo statistico? Parte I

[Segue la recente premessa già pubblicata]
Per illustrare l'incoerenza di un sistema uno strumento molto utile è spesso quello di ideare e descrivere un esperimento mentale, al prezzo di semplificare una parte delle complessità in gioco. In questo caso potremmo mostrare come un certo strumento indichi come potenziali evasori una grossa fetta di un ipotetico popolo onestissimo, come mera conseguenza di elementari proprietà statistiche e quindi in nessun modo grazie ad una reale capacità di identificazione dell'origine dell'evasione dell'imposta.

Supponiamo di avere un'ipotetica nazione, Reddilandia, con 50 milioni di contribuenti nella quale il 100% dei cittadini dichiari esattamente, fino all'ultimo centesimo, ciò che effettivamente guadagna. Questo dato, la totale onestà di tutti i 50 milioni dei propri cittadini contribuenti, è un elemento ignoto al controllore, che si doterà di uno strumento per "stanare" gli eventuali evasori (che solo noi sappiamo non esservi).

Una seconda ipotesi, qui scolastica ma utile ad introdurre il meccanismo che genera l'incoerenza dello strumento che verrà adottato, è che ogni singolo cittadino spenda in consumi ogni anno, fino all'ultimo centesimo, tutto ciò che guadagna (immaginiamo allora che le abitazioni e anche alcuni beni mobili in Reddilandia siano forniti direttamente dallo Stato). Questa è l'ipotesi più forte e che più ci allontana dal caso reale nel senso qualitativo e non solo quantitativo del problema, ma nel seguito non sarà difficile comprendere come possano immaginarsi aggiustamenti nei casi più realistici.

Un'altra ipotesi è che la media di quanto dichiarato in tutta Reddilandia equivalga a € 25.000, e che la distribuzione è approssimabile da una Gaussiana (troncata) con scarto quadratico medio di € 4.000. Sappiamo che nella realtà le distribuzioni di redditi o spese sono asimmetriche, perché nessuno guadagna meno di zero e non esiste un vero tetto massimo al guadagno del singolo, ma questa differenza non cambia molto i termini del ragionamento ed anzi il caso realistico renderebbe le incongruenze ancora più accentuate.
Per tradurre in soldoni, si sta ipotizzando che circa i due terzi della popolazione abbiano un reddito compreso tra € 21.000 e € 29.000, che circa un contribuente su duecento (due milioni e mezzo di persone) guadagni meno di € 15.000 e altrettanti più di € 35.000. Nessuno guadagni meno di € 2.000 o più di € 48.000.

A questo punto viene inventata una macchinetta che viene chiamata il BePher-O'meter. Opera al seguente modo, che è esattamente il funzionamento pubblicato in Gazzetta e adattato all'ipotetico caso: calcola la media di spesa per consumi per contribuente. Detto fatto: € 25.000. Impeccabile. Al secondo stadio stabilisce che essendo € 25.000 la spesa media per consumi registrata, allora nessuno può aver ragionevolmente speso meno di € 25.000 per i propri consumi, pertanto tutti hanno speso almeno € 25.000 all'anno (questa spesa viene anche grottescamenyte definita reddito presunto); ma concede, generosamente, un margine di tollerabilità del 20% a questa condotta sospetta.

Il BePher-O'meter va pertanto a scandagliare le dichiarazioni dei redditi. Stabilisce che tutti coloro i quali abbiano dichiarato € 20.000 o meno, poiché avrebbero più del 20% delle proprie spese "non spiegate", e poiché come si è detto è considerato irragionevole spendere meno della media, allora hanno necessariamente fornito una dichiarazione dei redditi incoerente. Più di cinque milioni di cittadini di Reddilandia, che ricordiamo è una patria di onesti per ipotesi, e proprio i cinque milioni meno abbienti ed in quanto tali vengono chiamati a spiegare, e giustificare all'Agenzia di riscossione dei tributi come mai la loro dichiarazione dei redditi presunta e quella presentata siano "incoerenti" tra di loro, vale a dire perché mai abbiano speso più del 20% meno della media nazionale. Incoerenza nata dal fatto che si è presunto che in condizioni tipiche si spenda per consumi esattamente la media della popolazione. Una sorta di umiliazione da infliggere a chi ha avuto meno. Chi avrà guadagnato bene, e giustamente dichiarato bene, e speso bene, non sarà mai chiamato a spiegare alcunché.

Salta agli occhi la terminologia usata: in realtà, questo dato è del tutto coerente, e non incoerente, perché è conseguenza del semplice fatto che le spese hanno una distribuzione statistica. Non c'è proprio nulla di "incoerente" nello scoprire che vi sia chi spenda di meno della media su beni di consumo, perché altrimenti non parleremmo di media ma di valore univoco e deterministico. Di non coerente vi è, più banalmente, la palese ignoranza delle regole della statistica. È altresì del tutto coerente che proprio chi abbia meno soldi da spendere rientri tra quelli che contribuiscano alla media delle spese correnti (pro capite) in misura inferiore, rispetto a chi guadagni di più e abbia quindi più soldi da spendere. È incoerente, viceversa, dedurre da un nesso logico di causalità perfettamente coerente una "non coerenza" che possa solo "eventualmente" tramutarsi in coerenza. Di fatto, si attribuisce la bizzarra colpa ad un cittadino di Reddilandia di "far parte di una popolazione statistica" invece che si essere una variabile deterministica, e farne parte dal lato sbagliato (di chi guadagna meno). Ma perché, allora, invocare l'aiuto di istituti di statistica se si nega l'esistenza di una popolazione statistica e/o della sua distribuzione?

Si parla spesso di obiezione di coscienza, in questo paese. Ecco, ritengo che gli operatori dell'ISTAT dovrebbero fare obiezione di coscienza per lesa dignità professionale contro lo scempio che verrebbe fatto dei dati che tanto rigorosamente e certosinamente raccolgono.

Un ultimo appunto su questa parte che conclude l'esperimento mentale: salta alla nostra attenzione una curiosa circostanza, che è l'arbitrarietà di quel 20%. Nella sostanza, giocando su quel 20%, aumentandolo o diminuendolo, si diminuirebbero o aumenterebbero i soggetti posti "sotto interrogatorio", pur se tutti onesti. Ecco, allora: se fossi cinico e volessi convincere il mio legislatore che la mia macchinetta è perfettamente funzionante, e se sapessi già in anticipo, da studi statistici, quella che è la stima della percentuale di evasori nel mio paese, beh, allora potrei giocare su quella percentuale, fare simulazioni, e aggiustarla, e quando becco il numero atteso torno dal legislatore e dico: "funziona, da una simulazione trova il TOT% di incoerenze, proprio la percentuale di evasione che ci aspettavamo". Peccato che non sarebbe affatto, quella, una misura di quello che voglio misurare, ma una misura rozza di una certa distribuzione. Come dimostra Reddilandia, un paese di cinquanta milioni di cittadini onesti e in cui tuttavia più di cinque milioni vengono ritenuti incoerenti nel dichiarare quanto guadagnano.
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Risparmiatore o evasore: un calcolo statistico? Premessa

Gli organi di stampa hanno dato notevole rilevanza al recente "salto di qualità" nella lotta all'evasione che sarebbe stato operato dall'Amministrazione del nostro Stato, il quale avrebbe fornito l'Agenzia delle entrate di un nuovissimo e potentissimo strumento atto a "stanare" gli evasori. In un primo tempo, si sono letti commenti al limite del fantasioso, congetturanti una fantomatica capacità di un improbabile "cervellone" dell'Agenzia in grado di (persino qualcuno ha scritto) monitorare con infinita precisione, per ogni singolo cittadino, ogni singola voce di spesa, dalla manutenzione delle barche di lusso alla spesa per giocattoli o per detersivi, e via dicendo. Chi conosce appena vagamente i meccanismi di spesa delle economie moderne e i numeri in gioco sa che questa è una fandonia monumentale, lo sa senza aver bisogno di leggere una riga di uno straccio di legge o decreto.

In giorni più recenti, quando avevo elaborato le parti che sottoporrò alla vostra attenzione, stanno emergendo commenti più scettici, ma ancora non si trova un'analisi chiara della componente tecnica dello strumento adottato. Provo a dare un modesto contributo, pubblicando quanto avevo precedentemente elaborato.

Ma allora cosa è stato veramente deliberato? E come si materializzerebbe questo monumentale lavoro numerico? A quest'ultima domanda la risposta è semplice: in realtà l'unico vero sforzo contabile (questo sì monumentale) che sarà fatto, e che è stato fatto da alcuni lustri a questa parte, è quello messo in campo dall'ISTAT, che come ogni istituto di statistica opera a campione. E come si discende, tornando alla prima domanda, da un lavoro a campione al singolo cittadino? Semplice: non lo si fa, o almeno, non lo si fa per una componente macroscopica del calcolo contabile.

Nei giorni successivi al lancio della notizia non ho trovato un solo articolo di giornale che abbia veramente spiegato ai propri lettori come tutto ciò sia possibile, o si prevede che sarà possibile. Rimando allora agli articoli di Gazzetta Ufficiale (1,2), per chi non vorrà credere alle mie parole.

La mia tesi, che svilupperò, è che in prima approssimazione si possa dire che lo Stato, possibilmente su suggerimento degli stessi funzionari dell'Agenzia tributaria, abbia molto banalmente stabilito un criterio alquanto primitivo ed involuto, e cioè che per stanare gli evasori si possa semplicemente raggruppare ed interrogare tutti coloro i quali dichiarino al fisco una certa proporzione (piccola) inferiore alla media, a prescindere se siano realmente poveri in canna o grandi evasori. Un tale criterio sarebbe stato sostanzialmente, e formalmente, iniquo e probabilmente non erogabile per manifesta ingiustizia. Lo si è allora rivestito di fronzoli e ornamenti per dare l'impressione, formale, che se ne stia seguendo un secondo, in apparenza più giusto, senza però allontanarsi di troppo dal primo alla prova dei fatti. In buona sostanza, chiunque abbia dichiarato un reddito appena un po' basso sarà chiamato a dare spiegazioni e, forse, persino a dover dimostrare il non dimostrabile, e cioè di aver risparmiato nel fare la spesa (come se si potessero offrire come prova delle NON spese dei NON scontrini).

Se questa tesi risultasse essere veritiera, almeno a grandi linee, e io cercherò di argomentare perché credo che lo sia, direi che la inevitabile deduzione non potrà che essere che qualunque collegio giudicante non potrà far altro che prendere atto della sostanziale iniquità e cassare ogni imposizione sanzionatoria che sia stata - in base a questo strumento - comminata dall'Agenzia dei tributi. Se ciò non accadrà si è facili profeti nel prevedere una probabile fine del nostro patto sociale, già portato allo stremo delle sue forze dall'imperante corruzione nella gestione della cosa pubblica in concomitanza con una grave crisi dei consumi e del risparmio. Spiace che, di fronte al gravissimo problema dell'evasione fiscale, si sia scelto di pescare nel mucchio, congegnando un sistema che rischierà di portare sul banco degli imputati, oltre ad una minoranza di detti evasori, più spesso chi semplicemente si sobbarca di enormi sacrifici per fare economia spicciola ed arrivare a fine mese a pagare mutuo o affitto già stipulati.

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