Sunday, March 9, 2008

La porta dell'anima (s'è chiusa). Prima parte

A grande richiesta (del papa) prosegue l'auspicato confronto tra la (sua) fede e la ragione (commenti e critiche vanno intesi nella loro specificità di analisi delle convinzioni di chi si professa unico e infallibile interprete del messaggio di Gesù, non al concetto di fede nella sua generalità, cristiana e non). Prendo spunto da un libro scritto da tal teologo Vito Mancuso, il quale (ho letto) sta avendo grande successo di vendite (per questo genere di contenuto) con il suo libro: "L'anima e il suo destino". Ritornerò tra poco sul concetto di "anima", ma prima mi preme di mettere in evidenza un commento critico da parte di Bruno Forte, un arcivescovo:

"Io penso - afferma l'autore - che l'esercizio della ragione sia l'unica condizione perché il discorso su Dio oggi possa sussistere legittimamente come discorso sulla verità" ([pag.] 315). Il problema è di quale ragione si parla: quella totalizzante della modernità, che ha prodotto tanta violenza nelle sue espressioni ideologiche? O quella che il Logos creatore ha impresso come immagine divina nella creatura capax Dei?

Ah ecco, e qui finalmente ci siamo, questo si intende per dialogo tra un tipo di ragione e il loro tipo di ragione: che la premessa è (parafrasando) "tenete comunque conto che la vostra ragione porta a morte e distruzione, il nostro pensiero no". Sarebbe troppo lungo qui analizzare l'onestà intellettuale di un arcivescovo della Chiesa cattolica, con i duemila anni di storia alle spalle a testominanza di come il "Logos creatore" non abbia mai portato (pare) a forme di "violenza nelle sue espressioni ideologiche", che abbia l'ardire di proporre questo concetto. Mi preme però far notare come ora sia chiaro cosa volesse dire Ratzinger quando da cardinale pronunciò quel famoso discorso su Galileo, citando Feyerabend. Molti, tra cui anche Giorgio Israel, si sono presi la briga di contestare l'interpretazione letterale che ne diedero i 67 firmatari della famosa lettera. Eppure poche frasi dopo, Ratzinger richiamò anche le parole di Von Weizsacker che esprimono proprio questo concetto espresso da Bruno Forte (da Galileo si passa inevitabilmente alla bomba atomica). Perché allora non la smettiamo con le ipocrisie? Perché non la smettiamo di dire una cosa molto chiara, magari citando per comodità un altro, e fare finta che se ne è detta un'altra quando si viene contestati, e si starebbe invece dialogando? Che dialogo è quello di due persone in cui una dice all'altra, come premessa fondamentale, che l'idea che l'altro difende porta inevitabilmente a violenza? (Ovviamente sarebbe troppo complicato far notare a questi intellettuali che fu un presidente degli Stati Uniti, e non uno scienziato, a premere il pulsante della bomba, e che decine e decine di capi di quello stato e di altri stati non lo hanno premuto, pur avendo l'arma e il grilletto nelle mani. La Storia e l'Uomo c'entreranno mica qualcosa? Sarebbe ancora più difficile forse convincere questi intellettuali che gli atomi hanno energia che ci vada a genio o no, anche se a noi non piace guardare nel cannocchiale, e che qualcuno prima o poi se ne sarebbe accorto, come ci si è accorti che il fuoco scotta)

Il resto dell'articolata critica di Forte la trovo scarna e intellettualmente povera. Al Mancuso, che tenta di proporre una discussione articolata in cui almeno tenta, a suo modo, di non postulare troppe "verità", gli viene contrapposto, nella sostanza, un unico argomento (il più classico argomento per autoriità). L'unico tema che Forte contrappone a Mancuso è: siccome San Paolo dice così e cosà, e siccome il papa decreta questo e quest'altro, allora Mancuso è in errore. Non c'è nessuna argomentazione propositiva, nessuna dialettica costruttiva. Ogni volta che Mancuso propone un dubbio, la risposta è "non è così perché è un dogma che non sia così". Viene invocato persino Kant. Siccome esiste la sofferenza, è il discorso nella sostanza, allora esiste il peccato originale. È gioco da ragazzi rivoltare questo concetto e spiegare la vera logica implicita di Forte: siccome un Dio buono è incompatibile con la sofferenza che vediamo, allora non possiamo dare la colpa a Dio, e pertanto il male è comunque opera nostra. Tutto il bene è opera di Dio, tutto il male è opera nostra. Una via di fuga un po' fanciullesca da queste problematiche, un po' infantile: si trasforma un interrogativo esistenziale che pone in discussione la bontà di Dio e lo mette a dura prova affermando, senza prove, che Dio in quella sofferenza non ha nesusna colpa. Spesso mi sono giustificato in questo modo nella mia infanzia: se facevo qualcosa di sbagliato non era mai colpa mia, era solo merito mio se facevo qualcosa di giusto. Le autorità ecclesiastiche si affannano per correre in soccorso di Dio (ne è orgoglioso? Lo ha chiesto loro?), sollevandolo dalle colpe, ma lasciandogli i meriti.

A ben vedere però questa natura "malvagia" e questa condizione di sofferenza dell'Uomo si manifestano in età adulta: pochi neonati sembrano esserne afflitti, soprattutto difficile sarebbe vedere in loro questa malvagità; eppure nascono col peccato originale anche loro. Per converso uomini adulti e battezzati, cui è stato quindi rimesso questo peccato originale, sono ancora in grado talvolta sia di soffrire per la loro condizione di uomini che di essere malvagi(*).

Viene legittimamente il dubbio che questa insistenza sulla storia del peccato originale sia un metodo per giustificarsi con se stessi degli errori che si commettono, piuttosto che un incentivo a migliorare la propria natura. Se infatti la colpa del male che vediamo è di una coppia che è vissuta in un'era imprecisata del passato, a poco vale tentare di contrastare la parte cattiva di noi. Ed in effetti notiamo che Gesù avrebbe rimesso da questa colpa, lasciando comunque che tutti gli esseri umani nati prima di lui non potessero salvarsi. Al tempo stesso chi da Gesù è stato salvato può ancora essere malvagio, nonostante tutto, e Adamo ed Eva continuano a rispondere del loro crimine, nonostante Gesù. Se poi hai la sfortuna di nascere in un luogo dove per tutta la vita non vieni nemmeno a conoscenza del nome "Gesù" prima di morire, come può succedere ancora oggi a miliardi di esseri umani, sei ugualmente spacciato, estromesso da questa riscossa da quel peccato originale. Puoi essere felice, puoi non aver riconosciuto il male "kantiano", puoi dedicarti tutta la vita a fare del bene, o essere un disgraziato: se sei nato nel posto sbagliato non lo sai, ma Gesù non aveva nessun progetto per te. Ma così deve essere, non c'è via di scampo secondo Bruno Forte, perché l'alternativa sarebbe rinnegare Paolo, o il papa, e quindi Mancuso non può che essere in errore, come tutti noi.

Nel prossimo intervento analizzerò critiche mosse da altri sul contenuto del libro. Infine tratterò brevemente il problema del discutere dell'anima. Mi preme qui precisare che con questa mia discussione non sto confutando la fede in Gesù in sé e per sé, ma ponendo degli interrogativi non banali a chi sembra avere una risposta univoca e d'autorità a tutto, ma al tempo stesso insiste nel dirci che stia dialogando. Mi preme scoprire se l'argomentazione in risposta ai miei quesiti può venire da considerazioni che non siano solo ed esclusivamente sulla falsariga del "rassegniamoci perché è così", senza lasciare spazio a qualunque altro modo di sentirsi cristiani. Infine sapere se ispirarsi intimamente, pienamente e nelle proprie azioni alla figura di Gesù e ai suoi propositi, senza credere nella soprannaturalità, sia viatico sicuro verso la dannazione eterna. Il che, tra le altre cose, dissolverebbe d'un colpo l'argomentazione controversa che viene spesso proposta: che non esista buon insegnamento morale di comportamento pratico al di fuori di quello di Gesù. La dissolverebbe in virtù del fatto che agire per il bene giusto non basterebbe, senza che si creda anche al soprannaturale, dimsotrando che alla Chiesa sta a cuore più la fede in se stessa che il bene "morale" condiviso, nonostante intervenga pubblicamente sostenendo l'esatto opposto.


(*) È tipico obiettare che chi non si libera dal peccato non si è sinceramente convertito a Gesù. Questa spiegazione tuttavia si serve di una postulato identico al precedente per spiegare la contraddizione logica, ovverossia che da Dio può avere origine solo il bene, e il male solo dall'Uomo. È un argomento circolare perché giustificherebbe qualunque tipo di realtà osservabile in qualunque universo alternativo, qualunque comportamento gli esseri viventi di quell'universo mantenessero, qualunque grado di crudeltà manifestassero, qualunque cosa credessero e professassero, qualunque Dio si postulasse: quel Dio resterebbe intrinsecamente buono, indipendentemente dalle azioni di chiunque, e dalla natura di chiunque.