A grande richiesta (del papa) prosegue l'auspicato confronto tra la (sua) fede e la ragione (commenti e critiche vanno intesi nella loro specificità di analisi delle convinzioni di chi si professa unico e infallibile interprete del messaggio di Gesù, non al concetto di fede nella sua generalità, cristiana e non). Prendo spunto da un libro scritto da tal teologo Vito Mancuso, il quale (ho letto) sta avendo grande successo di vendite (per questo genere di contenuto) con il suo libro: "L'anima e il suo destino". Ritornerò tra poco sul concetto di "anima", ma prima mi preme di mettere in evidenza un commento critico da parte di Bruno Forte, un arcivescovo:
"Io penso - afferma l'autore - che l'esercizio della ragione sia l'unica condizione perché il discorso su Dio oggi possa sussistere legittimamente come discorso sulla verità" ([pag.] 315). Il problema è di quale ragione si parla: quella totalizzante della modernità, che ha prodotto tanta violenza nelle sue espressioni ideologiche? O quella che il Logos creatore ha impresso come immagine divina nella creatura capax Dei?
Ah ecco, e qui finalmente ci siamo, questo si intende per dialogo tra un tipo di ragione e il loro tipo di ragione: che la premessa è (parafrasando) "tenete comunque conto che la vostra ragione porta a morte e distruzione, il nostro pensiero no". Sarebbe troppo lungo qui analizzare l'onestà intellettuale di un arcivescovo della Chiesa cattolica, con i duemila anni di storia alle spalle a testominanza di come il "Logos creatore" non abbia mai portato (pare) a forme di "violenza nelle sue espressioni ideologiche", che abbia l'ardire di proporre questo concetto. Mi preme però far notare come ora sia chiaro cosa volesse dire Ratzinger quando da cardinale pronunciò quel famoso discorso su Galileo, citando Feyerabend. Molti, tra cui anche Giorgio Israel, si sono presi la briga di contestare l'interpretazione letterale che ne diedero i 67 firmatari della famosa lettera. Eppure poche frasi dopo, Ratzinger richiamò anche le parole di Von Weizsacker che esprimono proprio questo concetto espresso da Bruno Forte (da Galileo si passa inevitabilmente alla bomba atomica). Perché allora non la smettiamo con le ipocrisie? Perché non la smettiamo di dire una cosa molto chiara, magari citando per comodità un altro, e fare finta che se ne è detta un'altra quando si viene contestati, e si starebbe invece dialogando? Che dialogo è quello di due persone in cui una dice all'altra, come premessa fondamentale, che l'idea che l'altro difende porta inevitabilmente a violenza? (Ovviamente sarebbe troppo complicato far notare a questi intellettuali che fu un presidente degli Stati Uniti, e non uno scienziato, a premere il pulsante della bomba, e che decine e decine di capi di quello stato e di altri stati non lo hanno premuto, pur avendo l'arma e il grilletto nelle mani. La Storia e l'Uomo c'entreranno mica qualcosa? Sarebbe ancora più difficile forse convincere questi intellettuali che gli atomi hanno energia che ci vada a genio o no, anche se a noi non piace guardare nel cannocchiale, e che qualcuno prima o poi se ne sarebbe accorto, come ci si è accorti che il fuoco scotta)
Il resto dell'articolata critica di Forte la trovo scarna e intellettualmente povera. Al Mancuso, che tenta di proporre una discussione articolata in cui almeno tenta, a suo modo, di non postulare troppe "verità", gli viene contrapposto, nella sostanza, un unico argomento (il più classico argomento per autoriità). L'unico tema che Forte contrappone a Mancuso è: siccome San Paolo dice così e cosà, e siccome il papa decreta questo e quest'altro, allora Mancuso è in errore. Non c'è nessuna argomentazione propositiva, nessuna dialettica costruttiva. Ogni volta che Mancuso propone un dubbio, la risposta è "non è così perché è un dogma che non sia così". Viene invocato persino Kant. Siccome esiste la sofferenza, è il discorso nella sostanza, allora esiste il peccato originale. È gioco da ragazzi rivoltare questo concetto e spiegare la vera logica implicita di Forte: siccome un Dio buono è incompatibile con la sofferenza che vediamo, allora non possiamo dare la colpa a Dio, e pertanto il male è comunque opera nostra. Tutto il bene è opera di Dio, tutto il male è opera nostra. Una via di fuga un po' fanciullesca da queste problematiche, un po' infantile: si trasforma un interrogativo esistenziale che pone in discussione la bontà di Dio e lo mette a dura prova affermando, senza prove, che Dio in quella sofferenza non ha nesusna colpa. Spesso mi sono giustificato in questo modo nella mia infanzia: se facevo qualcosa di sbagliato non era mai colpa mia, era solo merito mio se facevo qualcosa di giusto. Le autorità ecclesiastiche si affannano per correre in soccorso di Dio (ne è orgoglioso? Lo ha chiesto loro?), sollevandolo dalle colpe, ma lasciandogli i meriti.
A ben vedere però questa natura "malvagia" e questa condizione di sofferenza dell'Uomo si manifestano in età adulta: pochi neonati sembrano esserne afflitti, soprattutto difficile sarebbe vedere in loro questa malvagità; eppure nascono col peccato originale anche loro. Per converso uomini adulti e battezzati, cui è stato quindi rimesso questo peccato originale, sono ancora in grado talvolta sia di soffrire per la loro condizione di uomini che di essere malvagi(*).
Viene legittimamente il dubbio che questa insistenza sulla storia del peccato originale sia un metodo per giustificarsi con se stessi degli errori che si commettono, piuttosto che un incentivo a migliorare la propria natura. Se infatti la colpa del male che vediamo è di una coppia che è vissuta in un'era imprecisata del passato, a poco vale tentare di contrastare la parte cattiva di noi. Ed in effetti notiamo che Gesù avrebbe rimesso da questa colpa, lasciando comunque che tutti gli esseri umani nati prima di lui non potessero salvarsi. Al tempo stesso chi da Gesù è stato salvato può ancora essere malvagio, nonostante tutto, e Adamo ed Eva continuano a rispondere del loro crimine, nonostante Gesù. Se poi hai la sfortuna di nascere in un luogo dove per tutta la vita non vieni nemmeno a conoscenza del nome "Gesù" prima di morire, come può succedere ancora oggi a miliardi di esseri umani, sei ugualmente spacciato, estromesso da questa riscossa da quel peccato originale. Puoi essere felice, puoi non aver riconosciuto il male "kantiano", puoi dedicarti tutta la vita a fare del bene, o essere un disgraziato: se sei nato nel posto sbagliato non lo sai, ma Gesù non aveva nessun progetto per te. Ma così deve essere, non c'è via di scampo secondo Bruno Forte, perché l'alternativa sarebbe rinnegare Paolo, o il papa, e quindi Mancuso non può che essere in errore, come tutti noi.
Nel prossimo intervento analizzerò critiche mosse da altri sul contenuto del libro. Infine tratterò brevemente il problema del discutere dell'anima. Mi preme qui precisare che con questa mia discussione non sto confutando la fede in Gesù in sé e per sé, ma ponendo degli interrogativi non banali a chi sembra avere una risposta univoca e d'autorità a tutto, ma al tempo stesso insiste nel dirci che stia dialogando. Mi preme scoprire se l'argomentazione in risposta ai miei quesiti può venire da considerazioni che non siano solo ed esclusivamente sulla falsariga del "rassegniamoci perché è così", senza lasciare spazio a qualunque altro modo di sentirsi cristiani. Infine sapere se ispirarsi intimamente, pienamente e nelle proprie azioni alla figura di Gesù e ai suoi propositi, senza credere nella soprannaturalità, sia viatico sicuro verso la dannazione eterna. Il che, tra le altre cose, dissolverebbe d'un colpo l'argomentazione controversa che viene spesso proposta: che non esista buon insegnamento morale di comportamento pratico al di fuori di quello di Gesù. La dissolverebbe in virtù del fatto che agire per il bene giusto non basterebbe, senza che si creda anche al soprannaturale, dimsotrando che alla Chiesa sta a cuore più la fede in se stessa che il bene "morale" condiviso, nonostante intervenga pubblicamente sostenendo l'esatto opposto.
(*) È tipico obiettare che chi non si libera dal peccato non si è sinceramente convertito a Gesù. Questa spiegazione tuttavia si serve di una postulato identico al precedente per spiegare la contraddizione logica, ovverossia che da Dio può avere origine solo il bene, e il male solo dall'Uomo. È un argomento circolare perché giustificherebbe qualunque tipo di realtà osservabile in qualunque universo alternativo, qualunque comportamento gli esseri viventi di quell'universo mantenessero, qualunque grado di crudeltà manifestassero, qualunque cosa credessero e professassero, qualunque Dio si postulasse: quel Dio resterebbe intrinsecamente buono, indipendentemente dalle azioni di chiunque, e dalla natura di chiunque.
9 comments:
Stò effettuando il mio solito giro per visitare i miei blog preferiti. Ciao da Maria
L'unico argomento possibile per Forte, come hai sottolineato tu, è quello del principio di autorità: e quel che più mi sconforta è che citare San Paolo pone davvero il lettore medio in uno stato di passiva accettazione per via dei dogmi interiorizzati, assimilati con una certa violenza, la violenza della non-scelta, sin dal battesimo. Un bell'articolo, e un bel blog, complimenti.
Grazie andy, visto che qualche lettore c'è, mi devo sbrigare a postare la parte seconda e quella terza.
Ciao Paolo,
secondo me non ti fai un buon servizio andandoti a scolarti nelle querelle teologiche di due professoroni...
Alcune note però ce l'ho: innanzitutto l'associazione fra Galileo e la bomba atomica non è un'esclusiva di Bruno Forte, ma è proposto anche in Vita di Galilei di Brecht (vaghi ricordi delle superiori...). Possiamo discutere a lungo su questo argomento se vuoi.
Sempre sulla bomba: se è vero che è il presidente degli USA che ha deciso di sganciarla, comunque non è che Oppenheimer, Feynman, Fermi & co. pensassero di stare giocando coi lego. L'autobiografia di Feynman è illuminante a questo proposito. Leggila, ti piacerà.
(Detto per inciso: uno dei fisici, Rotblatt, lasciò Los Alamos per motivi etici, ad un certo punto.)
Quanto al peccato originale, è un tema difficile, soprattutto per non credenti. Mettiamola così, ne esiste una bellissima trasposizione cinematografica: le scimmie di Kubrick in 2001 Space Odissey. Riveditelo con questi occhi e dopo esserti riletto il passo della genesi. Fa quasi venire i brividi.
Buona serata
Stefano
Stefano, non posso farci niente, io mi invischio sempre.
Di Feynman ho letto praticamente tutto. Un personaggio di rara schiettezza.
Sono persuaso che la Germania non fu lontanissima a un certo punto dal poterla costruire, come sono convinto che se fosse successo, oggi noi parleremmo di cose diverse. Ma queste mie sono opinioni solo in parte verificabili e lasciano forse il tempo che trovano.
Non voglio certo assolvere nessuno solo perché era uno scienziato invece che un politico: furono fatte da tutte le parti delle scelte etiche ben precise, che comportarono e comportano delle responsabilità. Si potrebbe però anche leggere cosa fecero dopo la guerra Bethe, Bohr e Planck, tra gli altri.
La scienza ci dà nelle mani un potere incredibile. Non solo nel male, nel bene anche. L'unica mia vera speranza è che un giorno tutta la gente possa essere informata in modo preciso e oggettivo, in modo che sia in grado essa di fare le scelte (quelle che hanno impatto sulla salute e sicurezza per esempio) senza demandarle né ai politici né agli scienziati. Ma ci vuole maturità e rigore, un consenso/dissenso veramente e pienamente informato. Cultura, conoscenza, divulgazione. Un domani molto lontano.
2001 è probabilmente in assoluto il mio film preferito e mi genera sempre una valanga di emozioni, sia per il forte simbolismo che per la fotografia. Quando però leggo l'inizio della Genesi io leggo due autori diversi che non si sono messi d'accordo. In ogni caso che un pargoletto di poche ore abbia sulla testa un peccato che a Hitler fu perdonato mi sembra una posizione moralmente indifendibile.
Caro Paolo,
ti consiglio di leggere l'ultima enciclica "Spe Salvi" di questo Papa. Mi pare che risponda ai tuoi interrogativi e commenti.
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20071130_spe-salvi_it.html
Ciao ciao,
Davide
Caro Davide, è meglio se mi indichi i passi salienti dove si risponde ai miei interrogativi, perché difficiilmente, se mi ci metto, la leggerò tutta. A molti credenti sfugge interamente come certi documenti manchino totalmente di appeal per l'individuo medio. Spesso si fa una factica immane a seguire il filo del discorso (soprattutto nella sua logica interna), e lo dico io che ho passato una vita a studiare. Il paragone più immediato che mi viene in mente è con certe riviste marxiste-leniniste del passato, che idealmente sarebbero state rivolte al popolo, ma che se non avevi la quarta laurea facevi fatica a capire.
Forse quando dicevi che vi sono alcune risposte ti riferisci al modo di affrontare la sofferenza. Detto in soldoni, secondo il papa, la sofferenza non è negativa, anzi è una grandissima occasione. Il messaggio più originale di Cristo non è più cosa ha predicato in vita, ma come ha sofferto ed è morto (come disse Ruini una volta, "in fondo" il cristianesimo rimane pur sempre la "religione della croce").
Certo, predicare che la sofferenza è in realtà una cosa più che positiva è un modo formalmente legittimo di togliere a Dio la responsabilità di averla inventata. Ma questa visione filosoficamente sadistica (e come tale un po' banale) della vita risolve le questioni fondamentali legate alla sofferenza in un modo che a me sconcerta o non siddisfa, e sembra comunque non risolvere i problemi che l'uomo comune deve incontrare durante la vita. Basti pensare a questo: se la sofferenza è un elemento positivo nella vita di una persona e un'occasione da sfruttare, allora perché un individuo non potrebbe liberamente e nobilmente infliggere sofferenza in un'altra persona? Cosa lo limita, se in fin dei conti gli sta solo dando una grande e irripetibile occasione (tra le altre cose di avvicinasrsi al Cristo)? Perché dovremmo affrontare il problema della fame nel mondo se quelle persone, nella loro sofferenza assoluta, stanno assaggiando l'essenza stessa della vita umana e assaporando l'esperienza più centrale di Cristo?
Interrogativi astratti? Non per me, come si vide nel caso Welby a suo tempo. La convinzione diffusa proveniente da certi ambienti era che, nell'impedirgli di ottenere il distacco dalle macchine e nel mantenerlo in una condizione di sofferenza fisica non voluuta né ricercata, si stava facendo il suo bene.
Certo che se le cose stanno così, anche il sacrificio di Cristo diventa un evento per niente speciale: se infatti la sofferenza e la croce vanno imposti, magari da una legge fatta dagli uomini (e si insiste molto su quest'ultimo fatto), allora non c'è scelta nell'affrontarli, ma solo un obbligo sociale e civile. Insomma, Gesù non avrebbe fatto altro che ubbidire alla legge degli uomini, e non avrebbe potuto fare altrimenti: per motivi "legali" e non certo etici o morali. Gesù era "obbligato" dalle nostre leggi a soffrire e morire in croce, non lo ha certo scelto lui, esattamente come per ciascuno di noi.
Mi riferisco soprattutto ai paragrafi 36-39, che parlano della sofferenza. Poi, nei paragrafi 41-48 si spiega il rapporto grazia/giustizia e si confuta per esempio la tua obiezione (nonche' quella di Ivan nei Fratelli Karamazov :)) sul fatto che i grandi delinquenti siano perdonati come i grandi santi.
In estrema sintesi, quello che ho capito io e` che la sofferenza fa parte della vita: "Essa deriva, da una parte, dalla nostra finitezza, dall'altra, dalla massa di colpa che, nel corso della storia, si è accumulata e anche nel presente cresce in modo inarrestabile.", dice il papa. Quindi, la sofferenza c'e` anche (ma non solo) perche` siamo stati fatti liberi, e quindi possiamo sbagliare.
La salvezza di Dio consiste non nell'eliminare la sofferenza, ma nel darle un senso, nel donarci una speranza che e` piu` grande del male (vedi l'esempio del martire vietnamita). Questo non significa essere masochisti, ma affermare Cristo come vera sorgente della speranza. Infatti, Gesu` e` morto in croce proprio per accompagnarci nella sofferenza, per dirci che non siamo soli di fronte alle avversita`, ma che Lui ci sostiene, se solo gli permettiamo di entrare nella nostra vita.
Di nuovo, la Chiesa ci dice che il problema della vita non e` la sofferenza. E` un'illusione pensare che se non soffriamo, allora siamo felici, o che se soffriamo, allora non lo siamo. Non e` questo il punto. Pensa per esempio al discorso sulla "vita eterna" dei paragrafi 10 e seguenti.
Si capisce?
Comunque, mi sembra che Ratzinger lo spieghi meglio di quanto possa fare io. Non ti scoraggiare, Paolo, sono concetti difficili per tutti, anche per noi cattolici, perche' tutti vivamo in una societa` scristianizzata, con valori ben diversi. Io medito su questa enciclica da un paio di mesi!
Buona lettura!
Veramente la mia obiezione non era quella che dici: la mia obiezione è che Hitler abbia comunque vissuto "mondato" del peccato originale, il più grande peccato, mentre un pargolo appena uscito dal grembo lo porta con sé. Casomai la mia obiezione è più vicina alla constatazione che nel cristianesimo, come in tante religioni, riconoscere (o accogliere) il vero Dio è più importante, ai fini dell'ottenimento della salvezza, del bene che si fa. Detto in altre parole, o si esclude che un ateo (o credente in altro Dio) possa fare "davvero" del bene, oppure si decreta quel bene come insufficiente per salvarsi. Il credere nel vero Dio è la condizione sine qua non per l'essere salvati. In fondo, lo dice chiaro il Primo Comandamento. Ma la parte di tutto ciò che appunto dicevo di ritenere indifendibile è quando questo credo viene portato all'estremo, e viene richiesto che Dio debba essere stato accolto già quando si ha una cognizione minima della realtà, quando certamente non si ha il controllo sulla propria volontà (caso di un neonato).
Pur non condividendole, io potrei anche capire la legittimità di argomentazioni che chiamino in casa la mia volontà di persona adulta, e quindi le mie scelte consapevoli. Ma ripeto che diverso è il sostenere che un pargolo appena nato abbia su di sé, per la sola "colpa" di essere nato, tutto il peso del peccato peggiore, quello originale. Poi mi si può anche dire che in fondo questo non avrà conseguenze per lui in ogni caso, ma questa visione, se non altro simbolicamente, resta per me non digeribile.
Passando alla sofferenza: molti miei dubbi prima espressi restano anche dopo la lettura. Ma alla fine mi rendo conto che Dio, anzi, qualunque Dio, sarà sempre giusto e pieno di grazia per definizione. La sofferenza, il male, non sono mai opera sua: libero arbitrio, peccato originale, finitezza dell'Uomo, c'è sempre una spiegazione che fa ricadere su ciascuno di noi la colpa dell'esistenza della sofferenza. Quando notiamo invece l'esistenza del Bene, quella è opera di Dio. Un Dio così è invulnerabile, infinitamente buono, e ovviamente infinitamente necessario e unica nostra speranza. Su questo io sono d'accordo con quei passi: se il male è opera nostra e il bene è opera sua, non possiamo che avere in lui l'unica speranza. L'unico problema è che non capisco perché sia così: perché devo ringraziare Dio se mi succede qualcosa di bello, e maledire me stesso o gli uomini se mi accade qualcosa di brutto. Insomma, quando un figlio sbaglia è colpa sua, quando la fa giusta è merito dei genitori: funziona così?
Poi uno può anche decidere di sostituire la parola "Bene" con la parola "Dio", rendendo l'uguaglinza una tautologia: basta mettersi d'accordo, e devo anche dire che questa prospettiva non mi dispiace. Ma questo non dimostra che, essendoci il bene, esiste Dio, più di quanto lo dimostri l'esistenza del male.
Io invece riconosco l'ineluttabilità (ma non immutabilità) del male e della sofferenza, ma al tempo stesso riconosco anche che l'Uomo è capace di fare del bene. Questa, per me, è una grande speranza, e mi preoccupo di promuoverla, cercando di convincere la gente che non è totalmente inutile sperare in giustizia, bene e bontà su questa terra in questa vita. Trovo più utile cercare di accomunare in questo tutte le genti di tutte le fedi e senza fedi, almeno finché la mia vita appartiene a questa realtà, piuttosto che preoccuparmi di selezionare chi sta di qua e chi sta di là.
Concordo che può essere un'illusione quella di essere felici per aver solo eliminato la sofferenza. Ma questo non mi fa giungere alla conclusione che la sofferenza in sé sia sorgente di felicità. Tutto dipende dallo scopo che ci si è prefissi. Certamente il buon samaritano, se ha fatto del bene, è perché ha alleviato una sofferenza. Non vedo come, nell'alleviarla io a me stesso (una sofferenza identica, per dire), nei limiti del rimanere me stesso nel farlo senza condizionare altri, io stia facendo un errore. La sofferenza evitabile, credo, può essere evitata, ed è questo che cerca di fare la gente. Trovo macchiettistico descrivere questo istinto come manifestazione di una qualche improbabile scelta ideologica dei nostri tempi, segnale di chissà quale infausto presagio. Si finisce per creare un mostro inestente contro cui combattere.
Sulla "società scristianizzata" preferisco non entrare troppo nel merito perché poi il discorso si farebbe noioso. Penso però che ognuno dovrebbe sempre restare concentrato nel proprio piccolo sul come fare opere di bene, invece che passare tanto tempo a preoccuparsi del perché gli altri non si decidano a pensarla come noi. Essere d'esempio, per promuovere se stessi e le proprie idee, è sempre la miglior pubblicità. Stai tranquillo che se davvero la cristianizzazione è un bene, allora basterà ai cristiani comportarsi da cristiani, più che dire cosa voglia dire, per cristianizzare la gente.
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