Ho cercato di non scrivere qui del caso Eluana, anche se ho partecipato a molti forum di discussione, per non contribuire anche io alla moltiplicazione del numero delle fonti che si occupano di un caso che divide ed esaspera. Ma siamo giunti ad un momento topico perché la ragazza è stata trasferita nella clinica di Udine dove (ma abbiamo visto che i forse sono d'obbligo attorno a questo caso) si darà attuazione a varie sentenze di vari tribunali. Mi preme a questo punto sottolineare come perfino all'indomani di questo delicatissimo epilogo ci sia chi, tra le più ascoltate (perché più interpellate) fonti che si oppongono a questa risoluzione, continui ad evitare di parlare del merito della questione cruciale di questo evento, il vero spartiacque che sta determinando lo svolgersi dei fatti ed unico principio ispiratore delle sentenze sopra citate: che piaccia o meno, si sta cercando di dar corso alle volontà più volte espresse e testimoniate della ragazza prima che entrasse in quello stato vegetativo, diciassette anni fa. Che ci piaccia o meno, Eluana non concepiva il proprio corpo (nella sua accezione puramente biologica) come potenziale mezzo per consolare amici, parenti o sconosciuti, o per espiare i peccati di noi uomini mortali.
Sconcerta come nella quasi totalità dei casi chi si oppone a questo passaggio tralasci di controbattere a questo corpus centrale ed essenziale. Qui infatti nessuno vuole promuovere una soluzione da applicare a tutti i malati nelle stesse condizioni, nessuno vuole imporre a chicchessia volontà non proprie, nessuno sta cercando di accomunare tutte le persone e le famiglie in analoghe difficoltà in uno stesso destino. Nessuno sta tentando di attaccare la concezione sacra della vita di chicchessia. Si vuole solo lasciare che la natura segua il suo corso, o quello di Dio per chi crede, senza interferire: solo ed esclusivamente perché questo avrebbe desiderato la ragazza.
Ecco allora che io trovo grande ipocrisia (oltre che violenza verbale) nelle parole del signor Barragan (che non ha mai sperimentato l'essere padre né tantomeno il vedere la figlia subire un incidente tanto terribile), che si scaglia contro l'agire di un padre che da diciassette anni vede la figlia priva di coscienza e si sente incapace di dare seguito alle volontà che ella stessa espresse più volte da giovane, dandogli a tutti gli effetti dell'assassino di sua figlia - almeno implicitamente - quando afferma: "togliere ad una persona cibo ed acqua significa una cosa sola, ucciderla deliberatamente". E ancora: "se la sorte di Eluana sarà segnata tragicamente dal blocco dell'alimentazione, significa che si tratterà di un assassinio".
Dove sta l'ipocrisia? Comunque la si pensi, non credo che Barragan si stia ponendo in questa intervista più di tanto il problema di non offendere i sentimenti di padre di Beppino Englaro o di "non farlo arrabbiare". Eppure, con un salto sconcertante, nella medesima intervista, il signor Barragan finge di riscoprire i sentimenti di rabbia del padre (e finge di volerli rispettare) solo quando con un volo pindarico si rifiuta di rispondere alla vera domanda del giornalista che racchiude tutto il nucleo centrale della vicenda, senza il quale non sarebbe possibile (né auspicabile) sostenere la necessità di questo provvedimento, né comprendere le mosse del padre: la volontà espressa prima dell'incidente dalla ragazza. Nessuno può credere che, dopo aver dato implicitamente (neanche troppo) dell'assassino ad un padre, ci si possa verosimilmente preoccupare se si arrabbia; ed è quindi inevitabile concludere che invocare questo principio - proprio per rifiutarsi di rispondere alla madre di tutte le questioni (la volontà della ragazza) - si configuri come un pretesto cosciente, cinico e furbesco, di bassa lega. Leggiamo:
Domanda: Ma Beppino Englaro, il papà di Eluana, ha sempre detto che lui intende rispettare, in coscienza, la volontà della figlia che prima dell'incidente stradale di 17 anni fa più volte gli avrebbe confidato che non avrebbe voluto vivere attaccata alle macchine...
Barragan: "No, non voglio assolutamente rispondere a questa domanda, perché il signor Englaro è già tanto arrabbiato con me".
Concludo dicendo che spero che si abbassino i toni, si torni con i piedi per terra e si discuta pure della vicenda, se proprio si vuole parlarne; nei termini corretti però, cercando di comprendere le vere motivazioni sia del padre che dei giudici e domandarsi cosa avrebbe voluto la ragazza. Mi preme sottolineare come nulla di tutto questo debba in alcun modo interferire con od ostacolare gli aiuti, il sostegno (morale e materiale) che è dovuto a chi si trova in situazioni simili, ma aveva scelto di proseguire in questo percorso difficile in modo diverso. A nessuno è consentito di disprezzare deliberatamente l'altro per lo stato in cui è caduto, anche quando incapace di esprimersi. Ma non c'è pietas, non c'è solidarietà, se non c'è prima rispetto tanto per la persona e le sue condizioni quanto per le sue volontà personali sul proprio destino. Senza i nostri desideri, i nostri difetti, i nostri errori, le nostre volontà e libertà non saremmo gli individui che siamo, e pertanto non si può separare Eluana da quello che pensava e desiderava. Non si può imporre a lei il pensiero che desideriamo, perché quel pensiero non sarà mai suo ma solo nostro: si potrà forse avere il suo corpo imponendole una scelta diversa da quella che desiderava, ma mai l'essenza (o anima per chi vuole). Come non si può farlo, imporre un pensiero o una visione, a chi vuole scegliere un percorso diverso, e che va aiutato concretamente.
Sconcerta come nella quasi totalità dei casi chi si oppone a questo passaggio tralasci di controbattere a questo corpus centrale ed essenziale. Qui infatti nessuno vuole promuovere una soluzione da applicare a tutti i malati nelle stesse condizioni, nessuno vuole imporre a chicchessia volontà non proprie, nessuno sta cercando di accomunare tutte le persone e le famiglie in analoghe difficoltà in uno stesso destino. Nessuno sta tentando di attaccare la concezione sacra della vita di chicchessia. Si vuole solo lasciare che la natura segua il suo corso, o quello di Dio per chi crede, senza interferire: solo ed esclusivamente perché questo avrebbe desiderato la ragazza.
Ecco allora che io trovo grande ipocrisia (oltre che violenza verbale) nelle parole del signor Barragan (che non ha mai sperimentato l'essere padre né tantomeno il vedere la figlia subire un incidente tanto terribile), che si scaglia contro l'agire di un padre che da diciassette anni vede la figlia priva di coscienza e si sente incapace di dare seguito alle volontà che ella stessa espresse più volte da giovane, dandogli a tutti gli effetti dell'assassino di sua figlia - almeno implicitamente - quando afferma: "togliere ad una persona cibo ed acqua significa una cosa sola, ucciderla deliberatamente". E ancora: "se la sorte di Eluana sarà segnata tragicamente dal blocco dell'alimentazione, significa che si tratterà di un assassinio".
Dove sta l'ipocrisia? Comunque la si pensi, non credo che Barragan si stia ponendo in questa intervista più di tanto il problema di non offendere i sentimenti di padre di Beppino Englaro o di "non farlo arrabbiare". Eppure, con un salto sconcertante, nella medesima intervista, il signor Barragan finge di riscoprire i sentimenti di rabbia del padre (e finge di volerli rispettare) solo quando con un volo pindarico si rifiuta di rispondere alla vera domanda del giornalista che racchiude tutto il nucleo centrale della vicenda, senza il quale non sarebbe possibile (né auspicabile) sostenere la necessità di questo provvedimento, né comprendere le mosse del padre: la volontà espressa prima dell'incidente dalla ragazza. Nessuno può credere che, dopo aver dato implicitamente (neanche troppo) dell'assassino ad un padre, ci si possa verosimilmente preoccupare se si arrabbia; ed è quindi inevitabile concludere che invocare questo principio - proprio per rifiutarsi di rispondere alla madre di tutte le questioni (la volontà della ragazza) - si configuri come un pretesto cosciente, cinico e furbesco, di bassa lega. Leggiamo:
Domanda: Ma Beppino Englaro, il papà di Eluana, ha sempre detto che lui intende rispettare, in coscienza, la volontà della figlia che prima dell'incidente stradale di 17 anni fa più volte gli avrebbe confidato che non avrebbe voluto vivere attaccata alle macchine...
Barragan: "No, non voglio assolutamente rispondere a questa domanda, perché il signor Englaro è già tanto arrabbiato con me".
Concludo dicendo che spero che si abbassino i toni, si torni con i piedi per terra e si discuta pure della vicenda, se proprio si vuole parlarne; nei termini corretti però, cercando di comprendere le vere motivazioni sia del padre che dei giudici e domandarsi cosa avrebbe voluto la ragazza. Mi preme sottolineare come nulla di tutto questo debba in alcun modo interferire con od ostacolare gli aiuti, il sostegno (morale e materiale) che è dovuto a chi si trova in situazioni simili, ma aveva scelto di proseguire in questo percorso difficile in modo diverso. A nessuno è consentito di disprezzare deliberatamente l'altro per lo stato in cui è caduto, anche quando incapace di esprimersi. Ma non c'è pietas, non c'è solidarietà, se non c'è prima rispetto tanto per la persona e le sue condizioni quanto per le sue volontà personali sul proprio destino. Senza i nostri desideri, i nostri difetti, i nostri errori, le nostre volontà e libertà non saremmo gli individui che siamo, e pertanto non si può separare Eluana da quello che pensava e desiderava. Non si può imporre a lei il pensiero che desideriamo, perché quel pensiero non sarà mai suo ma solo nostro: si potrà forse avere il suo corpo imponendole una scelta diversa da quella che desiderava, ma mai l'essenza (o anima per chi vuole). Come non si può farlo, imporre un pensiero o una visione, a chi vuole scegliere un percorso diverso, e che va aiutato concretamente.
1 comment:
Sulla vicenda di Eluana ho già scritto - forse fin troppo - sul mio blog.
A margine di tutto mi pare che, comunque la si pensi, una cosa sia sicuramente mancata: il rispetto della volontà di Eluana, ossia l'unico parametro che invece si sarebbe dovuto tenere in considerazione fin da subito.
E tutto questo in virtù del fatto che la vita non appartiene né a Dio, né alla chiesa, né, tantomeno, ai giudici. Ma solo a chi ogni giorno ne porta il peso.
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