Sunday, May 5, 2013

Se l'elettore non premia il merito

Le recenti vicende intorno al Partito Democratico hanno avuto l'effetto di stimolarmi una riflessione, che in verità mi aveva già investito in passato, nella forma di classico adagio: "siamo governati da chi ci meritiamo". A ben vedere è molto più frequente che ci si scrolli di dosso questa ipotetica infamia e si preferisca relegare l'autocritica nello scantinato delle virtù dei timidi. Questo è anche uno dei motori che muovono il successo elettorale del Movimento Cinque Stelle: otto milioni di elettori che difficilmente ammetteranno di aver sbagliato nelle precedenti votazioni e si scagliano col fiero piglio dell'illibato contro il mostro violentatore della Seconda Repubblica. La stessa cosa accadde in verità durante il tramonto della Prima Repubblica, dacché si preferì convincersi di aver valutato sempre nel giusto, che i segnali di quel che stava per accadere fossero stati inesistenti o invisibili qualche anno, mese o settimana prima e che la colpa non poteva che essere nei mutanti della politica, che da degni della fiducia del popolo i giorni dei suffragi si trasformarono inspiegabilmente ed imprevedibilmente in irresponsabili ladri e sfruttatori. Ebbene, credo che in questa fase sia io stesso a dover rivalutare in modo estremamente critico i miei gravi e ripetuti errori del passato, prendermi il mio peso di responsabilità per aver creduto che un partito, sì pieno di difetti e a tratti imbarazzante, avesse in qualche modo chiaro il cancro che ha afflitto questo nostro paese per vent'anni, evidente la malsana e inestricabile sequela di catene, vincoli, azioni, conseguenze che imbrigliavano in una melma pesante ogni vago e timido alito verso una crescita definitivamente matura, compiutamente europea e definitivamente liberal dell'Italia: lo avesse chiaro ma non fosse in grado, o non avesse forza e autorevolezza per scrollarselo di dosso. Mi sbagliavo: quei personaggi non devono affatto averlo chiaro, mai averlo avuto chiaro, non lo hanno mai capito e hanno sempre e solo recitato una parte, probabilmente perché portava voti.

Ecco, io ho sbagliato e non altri, ma a questo punto devo necessariamente tornare alla riflessione iniziale: come possiamo prevenire i nostri errori? Ebbene, sì, possiamo prevenirli, se lo vogliamo. Se lo avessimo voluto, li avremmo prevenuti. Ma non siamo nemmeno capaci: male allenati ad usare gli strumenti che abbiamo a disposizione, li rigettiamo ed è per questo, non altro, non per colpa della "casta", che siamo ridotti come siamo.
Illustro dunque cosa mi ha stimolato la riflessione e quale questa sia stata: ho notato quanto molte persone di mia conoscenza di quella città, assolutamente sdegnati, inorriditi oppure delusi - a seconda - delle più recenti mosse del PD stiano molto attivamente sostenendo la candidatura di Ignazio Marino a sindaco di Roma (pur permanendo in generale nel loro segno, disgusto, orrore, delusione). Mi è tornato alla mente un breve dialogo di pochi anni fa, quando a correre per la segreteria del PD si ritrovarono Bersani, Franceschini e lo stesso Marino. Personalmente non stavo accingendomi a votare, ma espressi ad un mio amico che stava per farlo la mia convinzione che Marino sarebbe stata la scelta senza ombra di dubbio migliore, sia per i contenuti che per un certo potenziale di immagine. Mi sentii rispondere: "sì, sicuramente non c'è dubbio, Marino è di gran lunga il migliore, ma certamente non vincerebbe e quindi voterò X". Ecco, io mi chiedo se non sia stata la maggioranza a votare con questo retropensiero e come le cose oggi sarebbero diverse da come lo sono se la base del PD non avesse (più e più volte) scelto di non scegliere. Lo stesso partito oggi tanto bistrattato mette tutti noi di fronte alla responsabilità della scelta, ma noi ci rifiutiamo in qualche modo di attuarla fino in fondo.

In una certa misura credo che sia anche questo il più grande limite della democrazia: il non rendersi conto di chi ne usufruisce, spesso, di poter scegliere, lasciandosi invece convincersi di dover scegliere.

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